Cacao

Fave di cacao, qualche semplice nozione

Nei paesi di origine, le fave di cacao ancora avvolte dalla propria polpa subiscono una naturale fermentazione e una successiva essicazione, grazie all’azione combinata di lieviti e batteri; al termine della fermentazione le fave subiscono un processo di essiccamento per ridurre velocemente l’umidità ed impedirne l’ammuffimento. Una volta spedite nei paesi dove avviene la lavorazione, le fave vengono conservate in appositi magazzini, dove vengono pulite e tenute a temperatura e umidità controllate; seguono poi una serie di lavorazioni ciascuna delle quali ha una specifica funzione.

La pianta del cacao è una pianta della famiglia delle malvacee, chiamata “theobroma cacao”. È una pianta che esige condizioni ambientali particolari soprattutto ha bisogno di luce ma non diretta ed è per questo che generalmente le piantagioni sono coltivate in mezzo ai bananeti.
Si riconoscono 3 tipologie di piante che in realtà non si trovano in natura “geneticamente e perfettamente pure” ma hanno ciascuna un patrimonio genetico misto.

Le principali tipologie sono:
Criollo, il più pregiato e meno diffuso fornisce il cacao migliore ed è definito “aromatico”
Forasterio, è il meno pregiato e produce un cacao ordinario
Trinitario è un ibrido fra le altre due tipologie e il suo cacao è di buona qualità.

Le fave di cacao sono contenute all’interno del frutto chiamato “cabossa”.

Le lavorazioni
      • Tostatura: per ridurre ulteriormente l’umidità, sterilizzare il prodotto e soprattutto sviluppare gli aromi del cacao.
      • Separazione: separazione della pellicina esterna (cascara) dal seme e macinazione della granella ottenuta dalla separazione della cascara.
      • Pressatura: è la fase durante la quale si riesce a scomporre il cacao ed a separare la parte secca, che diventerà polvere di cacao, dalla parte grassa che corrisponde al burro di cacao.
      • Miscelazione: durante la quale vengono mescolati i diversi ingredienti del cioccolato (cacao, burro di cacao, zucchero e latte); ricordiamo, per essere di qualità si deve usare esclusivamente burro di cacao.
      • Raffinazione: durante la quale la massa viene fatta passare attraverso dei rulli, al fine di ridurre la granulometria dell’impasto.
      • Concaggio: ha lo scopo di mescolare e raffinare ulteriormente l’impasto e soprattutto contribuire all’eliminazione di buona parte degli acidi volatili ancora presenti migliorando le sensazioni tattili e soprattutto esaltando l’aromaticità.
      • Temperaggio: per rendere il cioccolato più lucido, brillante e stabile; questa fase consente di distribuire il burro di cacao in modo omogeneo e quindi ottenere una tavoletta che si possa spezzare in modo netto e preciso.

 

Questi procedimenti complessi, frutto di lunga esperienza, consentono di ottenere un cioccolato pronto per essere colato negli stampi, confezionato e capace di deliziare il palato dei consumatori.

La storia

Storia del “cacao”, viaggio alla scoperta delle origini di una “leggenda” …
… oggi ingrediente comune, un tempo talmente raro e prezioso da venire utilizzato come moneta di scambio…
I botanici fanno risalire la nascita spontanea dell’albero di cacao a circa 10.000 anni a.C.: la pianta diffusasi inizialmente lungo il corso del fiume Orinoco (Venezuela e Colombia) venne successivamente battezzata “kakawa” dalle popolazioni indigene precolombiane del Messico. I semi o “fave” di questa pianta mostrarono tali innumerevoli, preziose, proprietà tanto che venne considerata un prodotto “sacro” tra la popolazione maya.

Tra i reperti archeologici risalenti al 1500 a.c. compaiono per la prima volta la parola “xocolat” e le prime testimonianze relative alla lavorazione delle fave di cacao, grazie alle quali si otteneva una bevanda ottenuta miscelando le fave triturate con acqua calda, con l’ulteriore aggiunta di spezie e miele per bilanciare il forte potere amaricante del cacao.

Nel 1502 Cristoforo Colombo, approdato sull’isola di Guanaja, ricevette come dono di accoglienza, dalla popolazione indigena, una bevanda sconosciuta, amara e speziata, ritenuta il tesoro più prezioso che un uomo potesse donare ad un altro uomo. Fu Hernan Cortès, tra il 1525-1528, a intuirne il valore economico, e portò il primo sacco di fave di cacao e i primi e rudimentali utensili per la lavorazione delle fave al cospetto di re Carlo V di Spagna. .

E in Italia…?
Grazie ai rapporti con la Spagna e ai matrimoni dinastici tra eredi delle case reali, l’Italia fu uno dei paesi nei quali la tradizione del cioccolato attecchì prima. Fu infatti probabilmente Caterina d’Austria, figlia di Filippo II e sposa di Carlo Emanuele di Savoia, a portare a Torino il rito della cioccolata calda.
Tuttavia, il consumo di questa bevanda rimase a lungo accessibile a pochi a causa del suo elevato costo paragonabile all’oro, nel 1678 fu Antonio Ari il primo cioccolatiere a ricevere l’autorizzazione a vendere pubblicamente la cioccolata: gli venne assegnata la prima patente dalla casa reale sabauda ma solo per il prodotto in forma liquida. Nei primi del 1700 l’uso della cioccolata divenne comune nei salotti piemontesi e di lì a poco, Torino sarebbe diventata un centro d’eccellenza per la produzione di cioccolato a livello continentale, ruolo che conserva ancora oggi.
Gli anni successivi videro la luce numerosi marchi, ancora oggi esistenti, che hanno fatto la storia del cioccolato in Italia; tra le località ove nella prima metà del ‘900 si svilupparono le più importanti realtà cioccolatiere Italiane vanno sicuramente ricordate: Novi Ligure, Bologna, Perugia, Alba, Lecco, Modica.

Cioccolato: “istruzioni per l’uso”

Come scegliere il cioccolato: “l’etichetta”!

Quando si deve scegliere una tavoletta di cioccolato, per soddisfare al meglio le proprie preferenze, il consumatore, oltre a verificare la percentuale di cacao, deve consultare l’etichetta per verificare anche la qualità del cacao d’origine e le “miscele” che vengono usate; questi elementi hanno infatti un impatto determinante sulla qualità del prodotto finito e di conseguenza anche sulle caratteristiche organolettiche. Importante sapere che gli ingredienti riportati sull’etichetta sono sempre in ordine quantitativo decrescente e pertanto un’attenta lettura consente di orientarsi nella scelta.
Ad esempio, in riferimento al cacao, le migliori tavolette sono quelle mono varietali di tipo “Criollo” (Porcelana, Chuao, …) nelle quali viene riportato anche il paese di origine (Venezuela, Colombia, Ecuador…).
A questo aggiungiamo che in seguito ad un adeguamento europeo, oggi la normativa prevede che si possano utilizzare, in sostituzione al burro di cacao, altre materie grasse vegetali meno pregiate; fortunatamente, in una percentuale non superiore al 5% e obbligando i cioccolatieri ad indicarlo chiaramente in etichetta.
Si parla poco dell’elemento dolcificante e più delle volte ci si riferisce genericamente allo “zucchero”, ma in realtà anche questo componente varia e spesso determina la qualità della tavoletta di cioccolato. Senza addentrarci nel mondo delle diverse tipologie di zuccheri e dolcificanti vari (… che sono tanti) importante è sapere che la qualità di una tavoletta di cioccolato può essere valutata anche leggendo la sequenza degli ingredienti e, per quanto riguarda lo zucchero, più è posizionato in fondo alla lista e meglio è!

Fondente o al latte? A voi la scelta…

Ma alla fine, diciamoci la verità, lo amiamo in ogni sua forma perché il cioccolato è sempre una gioia per la gola, il cuore e il cervello. Ognuno di noi ha i suoi gusti e in Italia ci sono due “partiti”, quello del cioccolato fondente e quello del cioccolato al latte; pensate solo che il consumo annuo pro capite è di (circa) 3 kg a persona e la preferenza fra fondente e al latte si divide praticamente a metà.

Ma qual è la vera differenza fra cioccolato al latte e fondente?

La differenza è semplice: nel caso del fondente, la pasta di cacao deve essere almeno il 45% del totale, il burro di cacao il 28% e all’aumentare della percentuale di pasta di cacao si avrà una sensazione di amaro in bocca più incisivo. Il cioccolato al latte è molto più dolce, questo perché, nella sua lavorazione, oltre alla pasta di cacao, la tavoletta contiene almeno il 12-14% di sostanza secca del latte e un 4% circa di grassi del latte, non solo, in genere contiene anche vaniglia e zucchero per aumentarne la dolcezza.

Ricordiamo inoltre che quanto maggiore è la percentuale di cacao contenuta nel cioccolato tanto maggiore sarà l’apporto di proteine, lipidi, carboidrati, minerali e vitamine del gruppo B. Ovviamente ci si deve sempre e comunque orientare verso un cioccolato di qualità, senza ingredienti artificiali, con un’elevata percentuale di cacao e quindi meno burro di cacao e zucchero. Per riconoscere la qualità il cioccolato deve sciogliersi senza lasciare sensazioni grasse sul palato, il gusto deve essere rotondo e in bocca la struttura non deve presentare grumi, indipendentemente dalla percentuale di cacao contenuta nella tavoletta (anche in presenza di cacao 100%).

Consigli per la conservazione

Suggeriamo di conservare i prodotti di cioccolateria in luoghi freschi e asciutti, evitando l’esposizione al sole. Se correttamente conservato il cioccolato mantiene le proprie caratteristiche organolettiche anche per molti mesi, mentre umidità e sbalzi di temperatura portano, inevitabilmente, all’alterazione dei componenti del cioccolato creando delle macchie in superficie (la cosiddetta “fioritura”) che, ricordiamo, seppur anti estetica non comporta alcun problema al consumo. Il cioccolato, una volta aperta la confezione originaria, è opportuno venga avvolto in carta stagnola e poi in pellicola trasparente.

Cioccolato e salute

Il cacao e in generale tutti i prodotti derivati dal cacao (chi più… chi meno) sono ricchi di polifenoli che sono dei potenti antiossidanti. Studi clinici hanno dimostrato che questi elementi organici hanno diversi effetti positivi aumentando il colesterolo “buono” a scapito di quello “cattivo” e riducendo i processi di ossidazione. Inoltre si è scoperto che tali prodotti hanno una funzione benefica sui tessuti degli organi interni, stimolano le capacità di apprendimento ed hanno una rilevante funzione antistress.

Curiosità

Nel’500, in Italia, l’uso di questa bevanda “esotica”, dal sapore amarissimo fu fonte di accese discussioni in ambito ecclesiastico. Nella fattispecie non vi era certezza se dovesse considerarsi bevanda o alimento e pertanto potesse o meno essere consumata in periodo di quaresima… solo l’intervento di Papa Pio V, con bolla papale, chiarì che questo “brodo indiano” (come venne definito) potesse essere consumato.