Mostarda

La storia della Mostarda “Frutta Ardens”

Il termine “mostarda” deriva dal latino “mustum ardens” e consiste in una preparazione piccante in cui vengono utilizzati semi di senape pestati con la principale funzione di prolungare il tempo di conservazione di frutta e verdura.
Quando si parla di senape in ambito gastronomico, si fa riferimento agli oli essenziali, ricavati dai semi di senape (principalmente del tipo bianco e di quello nero); a tale riguardo è però importante sottolineare che l’origine della mostarda ha poco da spartire con la “moutarde”, ovvero la senape francese. La moutarde è infatti una salsa a base di aceto, sale e grani di senape, mentre la nostra mostarda è una preparazione, a base di frutta con l’aggiunta di zucchero ed olio essenziale di senape.

Inizialmente, la mostarda nasce come prodotto di lusso: se ne ha testimonianza grazie ad alcuni documenti gonzagheschi che testimoniano la presenza di questo alimento sulla mensa dei signori di Mantova, in banchetti o cene come quella realizzata dal Duca di Mantova.

Il suo uso popolare, grazie alla maggiore fruibilità di zucchero e senape, si diffonde soprattutto a partire dal 1600 presso le famiglie lombarde dell’Italia settentrionale; si tratta pertanto di un prodotto tipico, di lunga storia, che tuttavia, negli ultimi tempi, ha rischiato l’estinzione; oggi, fortunatamente, è in atto un processo di riscoperta di alcune lavorazioni antiche e tradizionali e la mostarda sta riscuotendo un rinnovato successo.
Su tutto il territorio italiano vi sono diversi prodotti che fanno uso del nome mostarda tuttavia noi porremo la nostra attenzione su quei prodotti che fanno uso esclusivo, nella propria ricetta, degli olii essenziali del seme di senape:

La Mostarda Mantovana

La mostarda mantovana è un contorno tipico della cucina mantovana di altissima qualità, dal sapore deciso e piccante. La ragione principale della nascita della mostarda consisteva nella necessità di “donare lunga vita” a quella frutta o verdura che fuori stagione sarebbe stata irreperibile. Le sue origini sono antichissime e riferibili all’uso del mosto cotto, utilizzato dagli antichi romani per conservare la frutta. La mostarda mantovana rimane uno degli alimenti in vaso più sani, capace di sopravvivere senza conservanti né coloranti e la cui realizzazione si completa solo dopo l’aggiunta di olio essenziale di senape: questa pratica viene concordata con il farmacista locale che in base al peso e alla piccantezza desiderata stabilisce il numero preciso di gocce da aggiungere per ciascun chilo di prodotto lavorato.

Questa lavorazione era tradizionalmente una pratica nata per recuperare la frutta e la verdura non più in grado di raggiungere la maturazione ottimale; nella fattispecie era compito dei più giovani raccogliere la frutta acerba, caduta dagli alberi nel periodo di inizio e fine estate a causa dei forti temporali; tutti questi prodotti duri e poco adatti al consumo umano, potevano essere destinati ai maiali o alle galline, ma l’economia famigliare in ogni epoca storica, imponeva di garantire l’utilizzo dei prodotti disponibili, compresa la frutta, per tutto l’anno. A questo scopo, le Rasdore o Rezdore (che letteralmente significa “reggitora” o “colei che conduce” la casa) mantovane, mondavano e tagliavano questa frutta acerba in fette sottili, per meglio selezionare le parti più belle e sane.

Da questa particolare pratica, prende il nome la “Mostarda mantovana a foglie” di cui riportiamo di seguito il procedimento tradizionale: “Sbucciate la frutta o la verdura ben lavata e successivamente togliete le parti non edibili e tagliatele a fettine. Poi scottate i prodotti da mostardare, che contengono una piccola quantità di fruttosio, in particolari padelle in ferro. Dopo questa prima fase, riporre il tutto in un contenitore e aggiungete lo zucchero semolato nella giusta quantità, mescolate e lasciate riposare per 24 ore. Scolate in una pentola il succo che si è formato, fatelo addensare a fuoco basso per almeno un’ora e poi versatelo caldo. Fate riposare per altre 24 ore e, ancora una volta, scolate il succo in una pentola, fatelo addensare per un’ora e versatelo di nuovo. Lasciate riposare ancora per 24 ore e fate bollire insieme il succo e le fettine della vostra mostarda per almeno 10 minuti. Fate quindi raffreddare il tutto e aggiungete l’essenza di senape, amalgamate con dolcezza e versate il tutto in vasetti di vetro puliti e sterilizzati. Conservate i vasetti in un luogo asciutto e buio”.

Una delle specificità di questa mostarda è che la frutta e la verdura vengono sottoposte ad un processo di caramellizzazione; questo procedimento influisce sulla struttura che risulta leggermente più morbida, sulla colorazione che risulta più omogenea, e sulla componente aromatica caratterizzata da note di caramello e, a volte, da leggerissime note di biscotto.
Questa tipologia di mostarda è ancora oggi prodotta in quasi tutte le famiglie mantovane e viene realizzata principalmente con mele campanine, pere (tutte le sue cultivar), cotogne, melone mantovano, fichi o altra frutta disponibile e verdure, tutte prevalentemente acerbe.
La consuetudine vuole che nelle famiglie lombarde la mostarda sia un contorno tipico della cucina di qualità da abbinare a lessi o bolliti ma è anche un importante ingrediente dei Tortelli di Zucca mantovani, infine, come contraltare in un pranzo sontuoso, è usuale, prima di servire il dolce, abbinare le mostarde a formaggi stagionati importanti quali il Grana Padano.

La Mostarda di Cremona

La mostarda classica cremonese è un prodotto della tradizione che prevede sempre la presenza di frutta mista intera o tagliata in pezzi e l’aroma naturale di senape: un connubio perfetto, che è un trionfo di sapori. A differenza dalla mantovana, questa tipologia di mostarda prevede che la frutta venga candita anzichè sottoposta a processo di caramelizzazione. La canditura dà luogo ad un prodotto in cui il frutto mantiene il proprio colore originario ed è facilmente distinguibile all’interno del vasetto; inoltre dal punto di vista tattile i frutti risultano più croccanti e coriacei.

Il primo documento che associa la mostarda a Cremona è la ricetta “Pour faire moutarde de Cremone”, contenuta in un libro “Ouverture de cousine par maistre Lancelot de Casteau”, stampato a Liegi nel 1604. Quanto agli ingredienti, non appare molto dissimile dall’odierno procedimento.
Più avanti, nel 1884, all’interno del “Manuale del cuoco” di Giuseppe Gorrini si riporta la ricetta della Mostarda di Cremona confezionata con “pomi, pere, fichi maturi, pesche secche, cedrate in pezzi, … miele, zucchero e senape”.

La Mostarda di Voghera

L’area di Voghera è sempre stata vocata alla coltivazione degli alberi da frutto e intorno all’anno 1000 d.c., presso l’Abbazia di Sant’Alberto di Butrio, collocata in Val Staffora nell’Oltrepò pavese, la frutta veniva conservata grazie ad una preparazione di senape e mosto.

Una delle prime citazioni documentabili relative alla mostarda di Voghera risale al 1397 in una lettera del duca Gian Galeazzo Visconti, allora signore delle terre pavesi, indirizzata al podestà di Voghera: in essa il duca richiedeva uno “zebro” (mastello) di frutta candita senapata da accompagnare ad arrosti e carni della sua tavola. L’attuale mostarda di Voghera è ottenuta da una miscela di frutta candita intera (ciliegie, pere, albicocche, pesche, zucca bianca, mandaranci) e sciroppo di zucchero (in sostituzione del mosto usato originariamente) e senape.

La Mostarda veneta o vicentina

La prima citazione scritta relativa alla mostarda vicentina risale a metà dell’’800, scovata in un ricettario a Braganze. Questa mostarda è prodotta oggi secondo l’antica ricetta della tradizione veneta e vicentina che prevede che la frutta sia presente in piccoli pezzi o addirittura schiacciata. Si presenta come una confettura opaca, abbastanza densa di color giallo chiaro, viene preparata con senape bianca, zucchero e frutta candita. Tradizionalmente veniva servita a Natale per accompagnare il mascarpone o per dare sapore alla carni. Il suo gusto dolce ma piccante e, a livello olfattivo, pungente rappresenta la memoria e la cultura del territorio. La più diffusa è a base di polpa di cotogna e si ottiene dalla cottura della polpa – spesso macinata – con la successiva aggiunta di zucchero pari al 50% del peso. Una volta raffreddata, si aggiunge olio essenziale di senape; si usa anche farla con le pere.

Mostarda Nobile di Parma

È una mostarda delicata fatta con una antica pera coltivata già dal ‘700 nell’area del Ducato di Parma e Piacenza: la Pera Nobile. Chiamata così perché considerata molto pregiata era destinata al consumo dei Nobili. La Pera Nobile ebbe larga diffusione, soprattutto nell’800, durante il regno della Duchessa Maria Luisa D’Asburgo-Lorena. Maria Luigia, così chiamata a Parma, fu una grande estimatrice di questo frutto: nata a Vienna, abituata agli abbinamenti salato-dolce tipici della cucina Austro-Ungarica, volle introdurla come ripieno per i tortelli e da quel momento divenne parte integrante della cultura gastronomica del territorio di Parma. Oggi, nel sapore di questo prodotto, c’è tutta la tradizione della cucina del territorio, un equilibrio agrodolce che richiama al palato i gusti antichi che la contaminazione austriaca portò nella tradizione culinaria Parmigiana.

Si dice che la Nobile di Parma debba essere degustata ad occhi chiusi ascoltando “Zaira” del maestro Vincenzo Bellini, Opera con cui la Duchessa Maria Luigia volle inaugurare nel 1829 il Teatro Reale di Parma, oggi Teatro Regio; sembra infatti che in tale occasione questa mostarda abbia fatto la sua prima apparizione durante i banchetti di inaugurazione. Si tratta di una produzione molto limitata a causa della difficile reperibilità della Pera Nobile. Oggi viene abbinata a formaggi stagionati come il Grana Padano DOP, viene utilizzata – come detto – nella preparazione dei tortelli ed infine proposta, in alcune varianti, con l’aggiunta di spezie quali zafferano e peperoncino.

In sintesi, per concludere, ricordiamo che le mostarde di Cremona, Voghera, Mantova e del Veneto, sono spesso senapate e piccanti (a seconda della quantità di senape), ma prive di mosto, mentre in Piemonte e nel sud Italia i prodotti indicati con il nome di “mostarda” contengono mosto ma non senape.

Mostarda: istruzioni per l’uso e per la conservazione

La mostarda è un prodotto di non facile deperibilità e può essere tranquillamente conservata per circa 5/6 mesi in dispensa senza che ciò influisca sulle caratteristiche organolettiche; una volta aperta va invece conservata in frigorifero. Col passare del tempo si può percepire un affievolimento della nota piccante in quanto l’olio essenziale di senape, che è altamente volatile, tende a disperdersi specie dopo l’apertura del vasetto.

Si consiglia di consumarla a temperatura ambiente e provare dei piccoli pezzetti di ciascun frutto e verdura per apprezzare le differenze di struttura, piccantezza, dolcezza e aromaticità, che seppur lievi – a causa della prevalenza dell’olio essenziale di senape possono, al palato di un consumatore attento, essere ancora avvertite.